
Nel secondo dopoguerra un gruppo di piemontesi compie un percorso migratorio che porta prima in Svezia e poi in Sudafrica. Composto da coppie (alcune con prole), da nubili e da scapoli, è un gruppo elastico, fluido: in Svezia perde qualche componente e in Sudafrica si trasferisce in ordine sparso. A Johannesburg si ricompatta, acquisendo emigrati che la Svezia l’avevano saltata e riabbracciandone altri ancora che tra le due tappe si erano fermati, per poco tempo, in Italia o in Svizzera.
Dopo qualche decennio molti di questi piemontesi ritornano in Italia. Ma alcuni ci ripensano e ripartono nuovamente, per andare a lavorare in Australia o per ristabilirsi definitivamente in Sudafrica. Una coppia raggiunge la famiglia del figlio in California, dove resiste qualche anno prima di tornare, per l’ultima volta, in patria.
I discendenti di questo irrequieto e mobilissimo gruppo sono sparsi per tutto il mondo. Si trovano nei paesi già citati, e anche in Portogallo, Nuova Zelanda, Gran Bretagna e negli Emirati Arabi Uniti.
Il libro “Sette marinai, sette infermiere” traccia, in modo non sempre prevedibile, la sovrapposizione dei percorsi migratori dei pionieri italiani a quelli di un compassato signore residente in Svizzera, ma affascinato dalle vicende sorprendenti di quella che lui definisce la “Italian Gang”.