Thomas, il clandestino

Nei fanciulli sudafricani — bianchi, neri e variamente colorati — il colore della pelle non contava. Crescendo, tuttavia, venivano indotti a distinguere il proprio colore da quello altrui, ad assegnargli un valore, e infine ad adeguarsi a un meccanismo di pregiudizio e discriminazione imposto da leggi ferree.
I bianchi, che beneficiavano economicamente dall’apartheid, lo accettavano senza grossi patemi. E in misura variabile da famiglia a famiglia, ne eravamo forzatamente complici anche noi che avevamo migrato a zig-zag.
Rispetto agli atteggiamenti che la politica di segregazione ci imponeva — pensieri e azioni che andavano dal poco fraterno all’odioso — il seme del dubbio mi venne piantato in testa da un rapporto quasi parentale che sin da bambino avevo costruito con Thomas, l’imponente Zulu che ospitammo illegalmente a casa nostra per sette anni. Era un predicatore pentecostale ma anche adepto della Chiesa Cristiana di Zion, famosa per i raduni oceanici dei suoi “militi danzanti”, che potete ammirare nel video sotto.
Di Thomas non abbiamo mai scattato una foto, ma lo voglio ricordare somigliante al guerriero ritratto nella foto con mia madre in un villaggio del Natal a metà degli anni ’50.

>>https://settepersetteblog.org/2022/03/23/diritti-dautore/ <<

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