Schiavitù

Cape Town. Il controverso monumento della rimembranza in Church Square, Cape Town.

(…) Il console era un esempio di questa affascinante mescolanza: aveva la carnagione scura, i capelli neri ricci, gli occhi verdi e nome e cognome britannici. La moglie, una donna alta, dal portamento elegante, aveva una carnagione meno scura e capelli lisci che mi suggerivano una linea di sangue orientale pressoché intatta da centinaia di anni. Mi immaginavo che discendesse da una delle molte famiglie dell’aristocrazia musulmana dell’Indonesia o della Malesia che, essendosi opposti alla brutalità del dominio olandese nelle loro isole, erano stati deportati al Capo, dove vennero privati dei loro privilegi di censo e delle loro ricchezze*.(…)
[*] La mia era un’ipotesi genealogica romantica ma piuttosto fallace, visto che quella zona del mondo era, già prima della colonizzazione del Capo, un crocevia del commercio di schiavi. A Jayarkarta – ribattezzata dagli olandesi Batavia – ad esempio, si era insediata da tempo una comunità euroasiatica detta Topassers, cristiani che parlavano portoghese, ex-mercenari divenuti, sotto gli olandesi, liberi cittadini e commercianti di topazi. Se sommiamo la mescolanza genetica preesistente nelle Indie olandesi a quella avvenuta all’ombra della Table Mountain, il concetto di una “linea di sangue pressoché intatta” non ha senso, così come non lo ha per la totalità della nostra specie.


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