Di recente, sono stato invitato a una ri-presentazione della raccolta di racconti storici “Correva l’anno” della Lareditore/Eco del Chisone, tenuta al Circolo dei Lettori di Pinerolo. Avevo partecipato alla pubblicazione – frutto di un corso di scrittura creativa diretto dalla scrittrice (ed ex-collega) Erica Bonansea – con un racconto ambientato nel Borgo San Michele di Pinerolo negli anni 1920-1946.
Pensavo di dover parlare del mio contributo, ma poco prima che iniziasse l’incontro ai co-autori invitati gli organizzatori hanno comunicato che l’occasione doveva essere improntata più sulla valutazione generale dell’esperienza di scrittura e che avremmo anche dovuto informare il pubblico delle nostre eventuali pubblicazioni uscite dopo il libro in questione.
Allora ho velocemente preparato una scaletta mentale di quanto dovevo dire. Mi sono subito impantanato nella questione della mia personale migrazione. Mi sono detto: “Beh, puoi iniziare così: Ho migrato da piccolo. L’ultima tappa l’ho fatta da adolescente. Peccato non aver tenuto i primissimi passaporti, quelli con i timbri che attestavano l’ingresso (anche per un solo scalo) negli stati esteri. Io ero registrato sul documento di mia madre, il quale comprovava il mio transito – nei miei primi 17 mesi di vita – in 12 paesi diversi: Svezia, Danimarca, Germania, Svizzera, Italia, Egitto, Yemen, Somalia, Kenya, Tanganyika, Mozambico e Sudafrica. A Massaua in Eritrea, allora federata all’Etiopia, non avevamo fatto sbarco. Poi devi andare a braccio.”
Quando è toccato a me, uno degli organizzatori presenti ha commentato : “Ah sì, l’autore che ha fatto parlare una casa!”, dirottandomi sull’aspetto della voce narrativa del mio racconto. Io ho proseguito spiegando che questa particolarità si ritrovava – moltiplicata per undici – anche nel libro “Sette marinai, sette infermiere”, uscito da sole due settimane, e ho terminato la presentazione a braccio. Mentalmente sgambettato, mi sono completamente dimenticato di raccontare quello che avevo preparato.
Ovviamente dei primi 17 mesi di vita non ho nessuna memoria: senza le storie e le memorie dei miei genitori e le foto scattate all’epoca non avrei potuto tradurre in parole scritte una esperienza rara.










