Me l’ha chiesto Rudi, giuro. Io non avevo mai “scritto” nulla della nostra storia. Sì, gli avevo fatto vedere foto, cartoline e raccontato memorie mie e di altri membri di quella “Italian Gang” che, a suo dire, si era divertita più di lui, a migrare. Ma io che ci potevo fare se gli era capitato una specie di Sliding Doors al gusto di aneto? Non gli bastavano più le mie telefonate per aggiornarlo delle mie ricerche e messaggi su chi gli aveva tirato quel pacco? Voleva forse che gli scrivessi un raccolta di storie? Domanda scema.
Restiamo seri. Rifatemi la domanda.
Ok, rispondo.
Per contrastare la xenofobia, intanto. Se si raccontano storie di migranti che superano le difficoltà di adattamento a climi e usi nuovi, che ritrovano la fiducia nel futuro in un riscatto economico che gli permetta anche di aiutare i parenti rimasti in patria, allora si dà loro un volto e si restituisce loro un’identità, non statica, di essere umano. Altrimenti i migranti restano cifre e dati. Manipolabili.
E in più, le vicende di Rudi e dalla “Italian Gang” non le ho dovute nemmeno inventare.
Su xenofobia e razzismo, ecco il pensiero illuminante di Elif Shafak, scrittrice anglo-turca.
(Per chi non ha dimestichezza con l’inglese, consiglio di scaricare sul cellulare l’app Google Translator: funziona a meraviglia.)