(…) me ne tornai nel laboratorio della Zia per parlare con mia madre e fare il lavoro che mi veniva spesso affidato, ovvero raccogliere con una calamita rossa a ferro di cavallo gli spilli e gli aghi che, caduti dai banconi, finivano nelle fessure tra un asse e l’altro del vecchio pavimento in legno.
Zia M. era una donna robusta e molto fisica, nel senso che ti abbracciava, ti baciava lasciandoti ovunque lo stampo del suo rossetto, ti stropicciava e ti faceva sedere in grembo a ogni opportunità. Anche questa volta, come premio per il lavoro svolto, mi chiamò e mi fece accomodare in grembo per sbaciucchiarmi, continuando a spettegolare con mia madre.
M. era quasi del tutto priva di freni inibitori e davanti ai bambini parlava di cose che normalmente non avremmo dovuto sentire. Sparlando della signora tal dei tali, le uscì un commento probabilmente molto salace (non l’avevo capito, visto che menzionava manovre e parti del corpo a me allora sconosciute) e insieme a mia madre scoppiò a ridere fortissimo, sobbalzando sulla sedia e facendomi quasi (…)