(…) Errol Kaplan, con cui passai cinque dei sette anni di scuola elementare, era un gingi. In yiddish, la parola designa un ragazzo dai capelli rossi e, molto spesso, la faccia piena di efelidi. Per i sudafricani, se avevi i capelli rossi significava che sicuramente nelle tue vene scorreva sangue celtico oppure ebreo.
Per gli ebrei i rossi erano e sono tuttora una minoranza verso la quale si mostra un certo rispetto per via delle gesta di un rosso notissimo, Davide, Re della nuova Israele Unita. Inoltre, una stirpe di guerrieri, di royte yidn, gli ebrei rossi, ben figura nella mitologia post-biblica come squadra di superuomini capaci di proteggere il popolo ebraico dalla disgrazie.
Come l’altro mio grande amico ebreo Ivan Itzkowitz, Errol era molto intelligente, ma a differenza di Ivan, il rosso era poco studioso e, cosa inusuale e poco apprezzata in un giovane ebreo, molto dotato fisicamente. Eccelleva in tutti gli sport: alla Yeoville Boys’ era in prima squadra per il calcio, il cricket e il tennis. A differenza di Ivan, inoltre, era molto socievole e caciarone. Mi insegnò parolacce e battute sconce in yiddish mentre Ivan, più posato e raffinato, mi insegnò soltanto le parole della canzone popolare Hava Nagila. Il rosso era un trascinatore carismatico e negli anni in cui si ritrovarono compagni, lui e Ivan si scambiavano settimanalmente il posto del primo della classe. Quando toccava a Errol nessuno sembrava invidiarlo. Quando invece toccava a Ivan, alcuni miei compagni masticavano amaro.
Ho sempre avuto, e ho tuttora, una spiccata simpatia per chi ha i capelli rossi: se sono femmine ne subisco il fascino, se sono maschi provo un’istintiva ammirazione per la loro immancabile, contagiosa vivacità. Con le sue efelidi, Errol piaceva anche a mia madre. (…)